Ministorie: La storia di Luca












Voglio raccontarvi la mia storia, perché penso che possa farvi capire come spesso l’amore giunga a noi in modi del tutto imprevedibili e sconvolgenti!
Mi chiamo Luca, ho 30 anni e vengo dalla provincia di Napoli, dalla stupenda cittadina di Sorrento, un luogo che ha ispirato poeti e cantanti e che attrae ogni anno migliaia di turisti da ogni parte del mondo.
Tre anni fa ero fidanzato con una ragazza del posto, Elena, una mora bellissima e dolce. L’avevo incontrata ad una festa di amici comuni e ci eravamo subito piaciuti. Lavorava come segretaria nello studio commercialista di famiglia. La amavo tantissimo, o almeno era quello che credevo…Comunque stavamo insieme da un po' e, siccome le cose andavano alla grande, decisi di chiederle di sposarmi. Da quando avevo iniziato a lavorare come marittimo, a 19 anni, vivevo in un piccolo appartamento accanto ai miei genitori e, per i primi tempi, pensai che potesse soddisfare le nostre esigenze, nell’attesa di trovare una casa più spaziosa per i bambini che sarebbero arrivati.
Ovviamente lei mi disse di sì, e le nostre famiglie entusiaste iniziarono immediatamente i preparativi. Da noi al Sud, infatti, un matrimonio non è affare esclusivo degli sposi, ma un vero e proprio “inferno”! Ogni giorno si discuteva con zie, cugini, comari, vicini, e chi più ne ha più ne metta, di centrotavola, tovaglie di lino o di cotone, pro e contro di questa o quella location, quale bomboniera era la migliore tra uno svuotatasche e una cornice d’argento! A me onestamente non interessava molto, volevo solo che fosse un giorno speciale per Elena e quindi acconsentivo a ciò che le piaceva senza discutere. Alla fine era quasi tutto pronto, dovevamo sposarci a fine giugno nella piccola ma caratteristica chiesetta di Sant’Antonino, patrono di Sorrento, con a seguire un ricevimento al Grand Hotel Cocumella, un albergo fortemente ricercato pure dai Vip per le cerimonie.
Ad aprile ero partito per lavoro e sarei stato di ritorno i primi di giugno. Due mesi in mare, due a casa, questa è la mia tabella lavorativa. Avevo già scelto il vestito ed erano state prese tutte le decisioni importanti, quindi la mia presenza non era necessaria…per i dettagli ci saremmo aggiornati via cellulare.
Un giorno, mentre ero in mare, Elena mi mandò il numero di certi suoi amici musicisti che dovevano suonare al ricevimento. Mi avrebbero informato sul repertorio che eseguivano di solito e io dovevo solo accettare o dire loro se avevo preferenze. Le risposi che per me andava bene qualsiasi cosa, ma lei ci teneva …forse voleva che le dedicassi qualche canzone, non so…Fatto sta che fui occupato per tutto il giorno e mi dimenticai di chiamarli. La sera dopo lei volle sapere come era andata e le rivelai che non avevo avuto modo di contattarli. Era la verità, ma lei ci restò male. Allora le promisi che avrei telefonato loro subito e le avrei riferito. Così feci. Riattaccai con lei e cercai il numero che mi aveva mandato via whatsapp. Ora…chiamatelo destino, fato, caso, o come volete, ma da quel momento la mia vita non fu più la stessa! Perchè al telefono non risposero i musicisti, ma una ragazza…Praticamente nella fretta di chiamare devo aver digitato un numero errato…
La voce che mi rispose era semplicemente meravigliosa, alta e briosa, sembrava un’allegra melodia. Dopo un attimo di piacevole smarrimento le dissi chi cercavo e lei mi rispose che avevo sbagliato numero. Stava per attaccare, ma io glielo impedì. Forse ero improvvisamente diventato pazzo, poiché non volevo smettere di ascoltare la sua  dolce voce. Riuscì non so come a non farle chiudere la comunicazione e parlammo un po' di noi. Scoprì che si chiamava Alice e viveva a Perugia, dove era iscritta alla facoltà di lettere. Aveva cinque anni meno di me e le piaceva molto leggere e scrivere, voleva diventare un’insegnante un giorno…ed era single al momento. Io le raccontai di me, del mio lavoro, e anche che tra due mesi mi sarei sposato. Chiacchierammo per quelle che a me sembrarono ore, con naturalezza, finchè mi richiamarono in servizio e dovetti a malincuore staccare.
All’epoca finì così. Nei giorni seguenti però non facevo altro che pensare a lei, alla sua voce…quella conversazione mi aveva fatto vibrare qualcosa dentro, mi sentivo inquieto e non più sicuro di niente. Quasi ogni sera presi in mano il cellulare per richiamarla ma mi fermavo sempre prima di schiacciare il tasto verde. Mi sentivo in colpa verso Elena, e poi mi pareva una stupidata. Non l’avevo mai vista questa ragazza, e anche se mi aveva raccontato delle cose di sé, chi mi assicurava che fossero vere? Al telefono puoi essere chi vuoi! E se si fosse inventata tutto? Con questi cupi pensieri in testa decisi di archiviare l’“incidente”, contattai i musicisti e presto tornai a casa per dedicarmi agli ultimi preparativi del matrimonio.
Malgrado il mio proposito di non pensare più a lei, di notte spesso la sognavo. Mi aveva detto che era bionda con gli occhi verdi. Fino ad allora ero convinto che mi attraessero le more, non avevo mai fatto particolare attenzione alle bionde.
Dal canto suo, Elena era troppo presa dalle nozze per accorgersi della mia inquietudine, e se anche la notava ogni tanto dava la colpa al nervosismo prematrimoniale. Del resto il nostro rapporto procedeva normalmente. Una sera, però, mentre passeggiavamo nella villa comunale, lei mi chiese il cellulare per mandare un messaggio ad una sua amica con cui doveva vedersi l’indomani perché il suo era scarico. Io glielo diedi, lei inviò il messaggio e stava per ridarmelo, quando le sfuggì di mano e finì a terra, frantumandosi in mille pezzi. Lì per lì restai di sale. Lei si scusava e cercava di riprendere i pezzi e io me ne stavo immobile. Il mio primo pensiero non fu il telefono rotto, ma il fatto che avevo perso il numero della ragazza, avevo perso quel sottile legame che mi univa a lei…e mi sentì come se mi avessero strappato il cuore dal petto! Alla fine ripresi il controllo e dissi ad Elena di non preoccuparsi, che i contatti erano tutti salvati sulla Sim e l’indomani avrei preso un nuovo cellulare. La riportai a casa e corsi da me. Salì le scale a due a due nella fretta di arrivare. Cercai subito un vecchio telefono che avevo in un cassetto della scrivania ed inserì la scheda, ma come temevo si era salvata soltanto la rubrica e qualche foto, nient’altro. Mi venne da piangere, giuro! Io, che mi sono sempre reputato un “duro”, stavo per piangere come una femminuccia! Il petto mi doleva forte e sembrava che nulla avesse più senso. Quella fu la notte più brutta della mia vita perché avevo capito di aver perso qualcosa di estremamente importante.
I giorni seguenti mi trascinai a mo’di zombie. Non vedevo niente, non sentivo niente. Dissi che non stavo bene e riuscì a starmene abbastanza per i fatti miei. Ma alla fine giunse il “gran giorno”. Feci quello che ci si aspettava da me. Mi alzai, feci la doccia, mi vestì sotto l’occhio vigile di mia madre che già singhiozzava, e posai per il fotografo. Poi ci avviammo in chiesa con la Mercedes di mio padre, che era titolare di una concessionaria. Arrivati lì, mia madre mi prese a braccetto e aspettammo la sposa sul sagrato, insieme ad un centinaio di invitati. Tutti sorridevano, ammiccavano ed erano felici per me, ma io non riuscivo ad esserlo. Mi sembrava di essere dinanzi ad un patibolo. Eppure fino a pochi mesi fa lo volevo davvero, volevo occuparmi di lei per il resto della vita. Però là in piedi non riuscivo più a ritrovare me stesso in quei desideri. Ero al centro dell’attenzione, però io  non focalizzavo nulla, ero in uno stato di torpore che a tratti m’impediva di respirare. Poi vidi Elena. Era splendida nel suo abito bianco pieno di perline e merletti, con una coroncina di brillanti sulla testa dove aveva raccolto i lunghi capelli scuri. I suoi occhi erano illuminati dalla gioia mentre scendeva dal calesse trainato da un cavallo bianco insieme al padre. Quando mi fu vicina riuscì solo a pensare che ero molto fortunato ad averla, era una brava ragazza, sincera e gentile, bella ed elegante, ma questo non bastò a far scivolare via il peso che avevo sul cuore. Mia madre mi strattonò la mano e mi fece cenno di entrare. La musica partì, un’Ave Maria acuta e triste, e io percorsi il corridoio centrale fino all’altare, dove aspettai Elena. Quando arrivò ci prendemmo per mano e la cerimonia iniziò.
Non ricordo molto, è tutto un po' sfocato, ma ho ben impresso l’attimo in cui capì che stavo sbagliando ogni cosa. Vedendo avvicinarsi il mio  migliore amico Luigi con gli anelli, compresi che era arrivato il momento dello scambio delle promesse. Il panico s’impossessò di me. Ancora oggi non mi perdono per come ho reagito, eppure sapevo di non poter fare altrimenti. Lasciai la mano di Elena, le sussurrai che mi dispiaceva e corsi via, sotto lo sguardo attonito delle nostre famiglie, del prete e degli invitati.
Non ne vado fiero, credetemi! Ho fatto soffrire Elena che non lo meritava assolutamente. Dovevo agire diversamente, ma fino ad allora non avevo realizzato che…che mi ero innamorato di una sconosciuta!!! L’ho capito solo quando stavo per legarmi per sempre ad Elena!
I miei erano comprensibilmente furibondi, così come i suoi. Io andai a stare per qualche settimana da Luigi, il mio testimone, per rimettere ordine dentro di me e far calmare le acque. Un giorno chiamai Elena e le chiesi di vederci. Le dovevo una spiegazione. Le dissi tutto e lei mi ascoltò basita finchè scoppiò a ridere. Sì, non vi prendo in giro…si mise proprio a ridere! Lei pensava che io avessi un’altra, ma in carne e ossa. Il fatto che fosse una specie di fantasma che mi aleggiava nell’anima le fece credere che fossi impazzito, forse a causa dello stress degli ultimi mesi. Quindi concluse che mi perdonava e che avremmo cercato di ricominciare. Io però non volevo. Mi sanguinava il cuore a dirglielo, ma lo feci. Le volevo un gran bene, sarebbe stata sempre una persona speciale per me, però non potevo più stare con lei…non se pensavo ad un’altra, sia pure non realmente presente nella mia vita. Come immaginavo, non ne fu felice. Mi definì in modi molto coloriti e mi mandò al diavolo, avendone tutte le ragioni! Almeno adesso ha ritrovato il sorriso….a breve sposerà Antonio, un carabiniere del Nord che conobbe in seguito.
Tornando a me, dopo giorni passati a commiserarmi sul divano, decisi di fare l’unica cosa che ritenevo giusta: andai a cercarla. Una mattina saltai in macchina e non smisi di guidare finchè non arrivai a Perugia. Non sapevo dove trovarla, non avevo un indirizzo, però mi aveva detto che frequentava la facoltà di Lettere all’università. Poteva essere una bugia, ma dovevo fare qualcosa prima d’impazzire sul serio.
Una volta lì, centinaia di ragazze affollavano sia il cortile antistante lo stabile che l’interno. Io non l’avevo mai vista quindi non sapevo che aspetto avesse, era come cercare un ago in un pagliaio. Per giorni feci avanti e indietro nella facoltà adocchiando le bionde che vedevo passare e acuendo l’udito per carpire le loro voci nella speranza di riconoscere la sua. Trovai alloggio in un bed and breakfast vicino all’università e mi procurai dei libri per camuffarmi tra gli studenti. Passarono 10 giorni ma non l’avevo ancora trovata. Mi stavo convincendo che mi avesse mentito, quindi mi dissi che l’indomani sarei tornato a casa. Avevo fatto quello che dovevo per evitare un rimpianto futuro, ma perseverare mi sembrava davvero ridicolo.
Stavo portando il piccolo bagaglio che avevo con me in auto quando le chiavi mi caddero di mano sul marciapiede. Le raccolsi e mi alzai. E sbiancai. Sul lato opposto della strada c’erano quattro ragazze che camminavano chiacchierando tra loro e una delle voci era la sua. Potevo metterci la mano sul fuoco. La sentivo ogni secondo nella mia testa. Buffo a dirsi, ma alla fine lei aveva trovato me! Comunque rimasi in ascolto per essere certo di non avere le allucinazioni, eppure era proprio la sua voce. Guardai meglio e vidi una biondina alta e magra che rideva reggendo una borsa piena di libri sulla spalla. Era molto bella, con gli occhi verdi e numerose lentiggini sul viso. Restai a fissarla imbambolato per tutto il tempo, fino a che girò l’angolo insieme alle amiche e sparì dalla mia vista. Allora mi riscossi….non potevo perderla ora che l’avevo finalmente trovata! Gettai il bagaglio nell’auto e la seguì fino alla facoltà. Lei entrò e io decisi di aspettarla fuori, presumendo che dovesse seguire delle lezioni. Durante quelle ore pensai a cosa dirle, a come presentarmi, e arrivai a concludere che se le avessi rivelato la verità mi avrebbe bollato come stalker o peggio. Così la pedinai poi a casa e nei giorni seguenti, per capire le sue abitudini e, al momento giusto, fingere un incontro casuale.
Una settimana dopo la seguì in un locale dove la aspettavano le stesse ragazze che erano con lei la prima volta che l’avevo vista e che poi seppi essere le sue migliori amiche. Mi sedetti ad un tavolo d’angolo sul lato opposto al loro e le tenni d’occhio. Bevevano un drink e scherzavano. Parevano divertirsi un mondo. D’un tratto un tizio grosso e chiaramente sbronzo si avvicinò e cominciò ad insultare Alice. Lei reagì gridando a sua volta e il bestione le afferrò un polso tirandola a sé. A quel punto non ci vidi più e corsi da lei. Presi il tizio per il colletto della camicia bianca e lo scaraventai contro il muro, intimandogli di non toccarla se ci teneva alla pelle. Lui si rialzò e mi minacciò, al che gli dissi che era la mia ragazza e che l’avrei denunciato io. Dopo un altro round d’insulti alla fine sloggiò. Mentre sbollivo la rabbia una mano mi si posò delicatamente sulla spalla. Mi girai ed era lei che mi sorrideva….e io pensai che non c’era niente al mondo di più bello di quel sorriso! Alice mi ringraziò e mi spiegò che era il suo ex, il quale non si era ancora rassegnato anche se erano passati dei mesi. Lei lo aveva lasciato dopo aver scoperto che la tradiva con mezza università. Era il figlio di un politico molto conosciuto e credeva di poter usare a suo piacimento cose e persone. Mi chiese come poteva sdebitarsi ed io le proposi di bere qualcosa insieme. Guardò un attimo le amiche per decidere se accettare o meno, se fidarsi di uno sconosciuto. Loro le diedero il via libera, entusiaste. Venne al mio tavolo e parlammo un po'. Le dissi chi ero, da dove venivo, nella speranza che magari mi riconoscesse, ma non fu così. Le spiegai che ero a Perugia in visita ad un vecchio amico, che ero appena uscito da un legame importante, omettendo il mancato matrimonio. Lei mi raccontò che era una studentessa di Lettere, che veniva sovente in quel locale con le amiche il venerdì sera anche se preferiva starsene sul divano a leggere o vedere un bel film. Le confidai che pure io ero un tipo più casalingo che festaiolo, e che ero lì perché il mio amico aveva compagnia a casa. Mi chiese cosa avevo visto della città e le rivelai che non avevo ancora avuto modo di visitarla in quanto il mio amico era sempre impegnato e non poteva accompagnarmi. Allora lei si offrì di farmi da cicerone l’indomani pomeriggio se volevo, per ringraziarmi. Naturalmente accettai di buon grado. Ci demmo appuntamento in piazza IV Novembre, dove sorge la famosa Fontana Maggiore, e da lì mi mostrò la Cattedrale di San Lorenzo, mi portò alla Galleria Nazionale e alla Rocca Paolina. Per tutto il tempo ridemmo e scherzammo come se ci conoscessimo da sempre e, ad un certo punto, mi azzardai a prenderle la mano, e lei non la ritrasse. Il pomeriggio volò, e scese la sera. La invitai a cena. Lei accettò e mi condusse in una piccola trattoria dove si mangiava davvero bene. Anche durante la cena l’atmosfera fu serena, mi trovavo a mio agio con lei e Alice pareva a suo agio con me. Mi parlò del rapporto un po' freddo con la madre, insegnante di musica al liceo, di quello invece perfetto col padre, medico al pronto soccorso, e di quello conflittuale col fratello di due anni più grande. Io le dissi che i miei erano genitori tranquilli, mia madre era casalinga e mio padre aveva la concessionaria, che mi avevano sostenuto nelle mie scelte, tranne quando avevo troncato l’ultima storia, che non avevo fratelli o sorelle, ma molti amici, in primis il mio migliore amico Luigi. Lei aveva le sue amiche, Roberta, Daniela e Giulia, e mi rivelò che erano insieme dalle elementari.
Dopo cena mi riaccompagnò alla  macchina. Per il giro turistico aveva voluto usare la sua poiché era pratica della zona mentre io no, e quando ci salutammo le chiesi il numero. Lei esitò un istante, poi me lo diede, sorridendomi. Le dissi che avevo passato una delle più belle giornate della mia vita e che mi sarebbe piaciuto immensamente rivederla. Lei arrossì e distolse lo sguardo, ma intuì che non le erano dispiaciute le mie parole.
I giorni successivi cominciai ad inviarle  brevi messaggi… Cosa fai? Come stai? Sei a lezione?...Lei mi rispondeva sempre, allora mi arrischiai ad invitarla per visitare la fabbrica del cioccolato che avevamo saltato nel nostro giro turistico  perché si era fatto tardi. Mi rispose che potevamo andarci l’indomani dopo pranzo, perché alle 17 chiudeva i battenti. Ci incontrammo lì davanti e lei era sempre più attraente ai miei occhi. Indossava un vestito a stampa floreale che metteva in risalto il suo fisico asciutto e tonico ed aveva raccolto i capelli dorati in una morbida coda. Semplice ma d’effetto. La visita durò poco più di un’ora e quando uscimmo le offrì un gelato. Alice scelse un cono con fondente e cocco, niente frutta da ragazze anoressiche, e io risi perché mi piaceva da matti la sua spontaneità. Ormai avevo capito che era una persona sveglia, curiosa, forte, divertente, ma anche un po' sognatrice e con la testa tra le nuvole. E mi aveva rubato il cuore ancora prima d’incontrarla!
Iniziammo a frequentarci. Ci vedevamo quasi ogni giorno, e credevo di sognare. Una sera che eravamo nel Giardino Carducci, uno dei punti panoramici di Perugia, seduti vicini su un muretto a guardare il cielo stellato sopra di noi, presi il coraggio a quattro mani e la baciai. Mi tirai subito indietro temendo di averla spaventata, ma lei mi attirò di nuovo a sé e fu come se mi sentissi di nuovo vivo, finalmente dove dovevo essere, a casa, tra le sue braccia!
Restai a Perugia per un’altra settimana, una settimana in cui ci scoprimmo ancora di più, e fu chiaro che quello che stava nascendo tra noi  non era un banale flirt. Purtroppo dovetti poi far ritorno a casa perché dovevo imbarcarmi per la Libia. Le promisi che ci saremmo sentiti tutti i giorni e che avrei trascorso Natale e Capodanno con lei, visto che sarei tornato poco prima, e così fu.
I miei non furono molto felici del fatto che non stessi con loro durante le feste per andare a casa di una ragazza appena conosciuta. Sì, Alice voleva presentarmi ai suoi, i quali avevano acconsentito, non so come, ad alloggiarmi nella stanza degli ospiti. Andò tutto bene, anche troppo. Suo padre fu estremamente cordiale, sua madre un tantino scostante ma senza essere ostile, e suo fratello mi risultò immediatamente simpatico. La Vigilia di Natale, dopo la cena e la tradizionale messa di mezzanotte, le proposi di fare una passeggiata in centro, col beneplacito dei genitori. Era arrivata una spruzzata di neve che rendeva ogni cosa un po' fiabesca, ma il freddo non era eccessivo. Davanti alla Fontana Maggiore in piazza IV Novembre la feci fermare e le diedi il mio regalo. Un piccolo ma splendente punto luce attaccato ad una catenina d’oro bianco, a ricordarle che lei era la mia luce, la luce che aveva fatto rinascere in me la vita. Alice mi baciò tra calde lacrime di felicità, ed io mi sentì il padrone del mondo intero. Se avevo lei al mio fianco non avevo bisogno di altro. Ma sapevo bene che dovevo rivelarle la verità, anche se procastinavo perché la paura di perderla mi paralizzava.
Alice mi regalò invece l’ultimo libro di Dan Brown, uno dei miei scrittori preferiti, che le avevo confidato di non essere ancora riuscito a leggere. Quasi venne da piangere anche a me, poiché lei mi ascoltava davvero e sembrava tenere a me quanto io tenevo a lei.
Natale e Capodanno li passammo con la sua famiglia, cui si aggiunsero nonni, zii, cugini, amici in visita, un turbinio di persone alle quali m’impegnai a piacere perché erano parte della sua vita. Anche se cercai di farlo in maniera disinvolta, Alice lo notò e vidi un moto d’orgoglio nei suoi occhi.
L’ultimo dell’anno, dopo aver aspettato la mezzanotte a casa sua, andammo in un locale con le sue amiche ed i loro ragazzi, Prima di rientrare  Alice mi disse che aveva una sorpresa per me. Mi condusse in un appartamento fuori Perugia, di proprietà di una vecchia zia della madre, che affittavano nei mesi estivi. Là mi chiese di fare l’amore con lei, ed io, seppur preda del senso di colpa per non averle ancora confessato la verità, non riuscì a tirarmi indietro. Ricordo perfettamente ogni particolare di quella notte, ma soprattutto il momento in cui le svelai che l’amavo. Alice era distesa al mio fianco, la testa sulla mia spalla, e mi carezzava dolcemente la pancia. Si bloccò nell’udire tali parole e mi guardò dapprima incredula, poi un enorme sorriso le spuntò sul viso e mi abbracciò stretto sussurrandomi :”anch’io!”. Se fossi morto in quell’attimo sarei stato l’uomo più felice dell’universo!
Il giorno dell’Epifania rientrai a Sorrento, ma Alice mi avrebbe raggiunto il weekend successivo. Le mostrai il mio paese natale, poi raggiungemmo l’isola di Capri col traghetto. Giornate stupende. Il weekend dopo andai io da lei. E continuammo così fino al mio nuovo imbarco. Ormai avevamo raggiunto un buon equilibrio, eppure io non riuscivo ad essere del tutto sereno perché sapevo di doverle spiegare come ero arrivato a lei. Quindi mi ripromisi di farlo alla prossima occasione.
Prima di Pasqua sbarcai e corsi subito a Perugia. Lei mi appariva ogni volta più bella e perfetta, e pregavo Dio che non mi lasciasse dopo aver saputo tutto.
Quella sera la invitai a cena e poi la portai al Giardino Carducci dove ci eravamo scambiati il primo bacio. Speravo che questo mi sarebbe stato d’aiuto. Mi feci forza e le raccontai la verità. Alice non mi interruppe mai, ma, anche se non la guardai in viso fino alla fine, sentivo nitidamente i suoi singhiozzi. Le spiegai perché non le avevo detto tutto subito, per timore di sembrarle uno stalker, ma che dovevo assolutamente conoscerla. Le parlai anche del matrimonio mancato. Dopo aver terminato mi girai verso di lei e mi arrivò immediatamente un ceffone. Era incavolata nera ed aveva ragione. Mi diede del bugiardo, dello stronzo, insomma non ebbe parole gentili, e poi corse via in lacrime ingiungendomi di non cercarla mai più. Io le corsi dietro gridandole che l’amavo, che doveva pensare solo a quello, che era la mia vita, ma lei non volle ascoltarmi.
I giorni seguenti si rifiutò di vedermi. Non rispondeva ai miei messaggi ed alle mie telefonate, ed i suoi genitori, pur non conoscendo i motivi della rottura, mi invitarono a tornare a casa. Dopo un ultimo tentativo, un monologo di tre ore alla porta chiusa della sua stanza, me ne andai, con la morte nel cuore. Rientrai, ma non avevo nessuna intenzione di lasciarla andare. Senza di lei mi sentivo vuoto e spento, non m’importava più di niente. Continuai a chiamarla e a mandarle messaggi per settimane…non mi rispose mai. Allora decisi di scriverle delle lettere…e lo so che è una cosa patetica ma non mi venne in mente di meglio! Comunque, le scrissi tutti i giorni per un mese, poi partì di nuovo e proseguì a scriverle, ma non servì neanche quello. Ormai non sapevo più cosa fare e mi ritrovavo sempre più depresso.
Tornato a casa, un pomeriggio venne a trovarmi il mio amico Luigi. Gli avevo già parlato di Alice ma non gli avevo ancora detto che mi aveva lasciato. Mi sfogai con lui che alla fine mi consigliò di scriverle un’ultima lettera e poi, se non avessi avuto risposta, di smetterla. Non si poteva costringere una persona ad amarti. Ed io, sebbene stessi letteralmente morendo dentro, mi dichiarai d’accordo. La sua felicità doveva venire prima della mia.
Il giorno seguente Luigi mi portò due biglietti aerei per una breve vacanza in Spagna, a Barcellona. Mi annunciò che se Alice non mi avesse risposto entro una settimana saremmo partiti, e che non dovevo nemmeno provare a tirarmi indietro. Io non ero molto dell’umore, ma lui fu irremovibile.
Una settimana dopo stavo aspettando Luigi in aeroporto. Aveva detto che ci saremmo visti direttamente lì perché doveva andare in mattinata al tribunale di Napoli per conto di un cliente. Lavorava in uno studio legale importante di Sorrento. Il nostro aereo partiva alle 16, ed erano solo le 14,30, per cui mi misi comodo sulle poltroncine del gate e tirai fuori il libro di Dan Brown che mi aveva regalato Alice. Avevo iniziato a leggerlo dopo il nostro litigio per sentirla vicina, una cosa oltremodo penosa, però in quel periodo mi attaccavo a qualunque sciocchezza che m’impedisse di cadere a pezzi. Mentre me ne stavo seduto là, avvertì qualcuno accomodarsi accanto a me. Un profumo familiare di rose e lavanda mi fece quasi svenire. Non poteva essere. Col cuore che mi martellava in petto come se volesse schizzar fuori, mi girai e per poco non mi venne un infarto.
Alice era lì e mi sorrideva. Mi salutò e mi disse semplicemente “Lettura interessante!”. Io rimasi allibito. La fissavo a bocca aperta incapace di dire o fare alcunchè. Allora lei mi si gettò addosso e mi baciò. In quel momento mi riscossi e la baciai disperatamente, per farle capire quanto mi era mancata. Mi aggrappai a lei come un naufrago ad un pezzo di legno nel bel mezzo dell’oceano in tempesta e non sentì altro che una gran pace dentro. Non so per quanto tempo restammo su quelle sedie, ma riuscimmo a prendere l’aereo per un soffio…
In seguito, Alice mi confessò che, dopo aver letto la mia ultima lettera, dove le dicevo addio se non mi avesse risposto, fu presa dal panico e comprese che mi amava nonostante tutto. Venne a Sorrento ma io non ero in casa. Trovò invece Luigi che era passato a salutarmi. Lui le disse del viaggio ed insieme architettarono la sorpresa. La migliore, per quanto mi riguarda!
Da allora non ci siamo più lasciati. Il Capodanno successivo – che passammo dai miei (finalmente l’avevano accettata) – la portai in spiaggia e, sotto un cielo pieno di stelle e col canto del mare che risuonava nella notte, le chiesi di sposarmi. Non volevo più stare un solo istante senza di lei. Non dopo aver sperimentato l’inferno in terra quando mi aveva allontanato.
L’anno scorso ci siamo sposati in una pittoresca chiesetta sul mare a Massa Lubrense, un paesino vicino Sorrento di cui lei si era innamorata quando l’avevamo visitato. Quel giorno era davvero un sogno, una principessa nel suo abito bianco ricoperto di pizzo e cristalli, ed io non riuscivo a credere che stesse sul serio per donarmi il resto della sua vita. Quella volta nessuna nuvola di dubbio mi offuscava il cuore, non ero mai stato tanto certo di niente come lo ero del fatto che la amavo infinitamente e non volevo nessun’altra al mio fianco. Siamo poi andati a vivere a Perugia, in un appartamentino accanto ai suoi, perché lei doveva finire l’università. Quest’anno si laureerà e forse decideremo di tornare giù, lei adora il mare, o forse no, ma a me non importa. Mi basta stare con lei, il luogo fisico non è che un dettaglio insignificante!
Spero che la mia storia vi sia piaciuta e soprattutto vi insegni a non mollare, a crederci fino in fondo anche se sembra una follia, perché l’amore alla fine non è altro che questo. Una splendida follia. Le anime gemelle destinate a stare insieme si trovano sempre, spesso in modi non convenzionali, ma ne vale la pena, ve l’assicuro!
Luca




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